lunedì 31 gennaio 2005

Sorriso di donna

Ho sempre sognato di avere una vita come quella di Henri Pierre Roché. A sessantaquattro anni decide di pubblicare il suo primo romanzo, Jules e Jim, e come nel libro di un esordiente vi si possono leggere dentro i ricordi di una vita. Ma non è la stessa cosa scrivere di ciò che stiamo vivendo o di quello che abbiamo vissuto. Dopo che è passato tanto tempo non c'è più quell'urgenza di raccontarsi, di trovare qualcuno che ci apprezzi, che divida con noi dubbi o paure. Non c'è neppure spazio per i rimpianti. Vedendo scorrere davanti agli occhi l'intera esistenza, riusciamo finalmente ad attribuire un senso a tutte le volte che abbiamo amato, litigato, sbagliato, ferito. E nel momento in cui trasferiamo i ricordi su un foglio di carta, forse proprio allora la nostra vita ne esce per la prima volta vincitrice, perchè si tratta di un bilancio in cui non contano i numeri delle giornate felici o di quelle tristi, ma soltanto le cose che quei momenti inutili e bellissimi ci hanno lasciato.

Cafe du Dome, Paris, 1925 (foto di André Kertész)

Roché aveva vissuto in un'epoca e soprattutto in un ambiente straordinari. Nella Parigi di inizio secolo anche chi aveva un ruolo da spettatore poteva dire di vivere un'esperienza unica. Non è da tutti essere amico di Braque e di Duchamp, avere l'onore di presentare Picasso a Gertrude Stein. O intrattenersi con Cocteau, Picabia ed Erik Satie. I punti di ritrovo erano i caffè la Rotonde o le Dôme a Montparnasse, per poi magari proseguire con una cena alla Closerie des Lilas...
Allora in quei posti giravano tanti artisti di lingua tedesca, originari dell'Europa dell'Est, dei Balcani e della Scandinavia. Dev'essere stato in uno di quei caffè che Roché ha conosciuto Franz Hessel, un giovane di Stettino che passava il tempo ad ammirare Parigi e a scrivere articoli per vivere e poesie per conquistare le ragazze. Franz e Henri Pierre diventarono amici. Fisicamente agli antipodi (alto, moro e con un fisico atletico il primo, tozzo, biondo e grassottello il secondo), erano uniti dalla passione per l'arte e per le donne, con le quali non potevano avere un approccio più diverso...

Quando conobbero la pittrice Helen Grund ne rimasero entrambi affascinati, ma Henri Pierre difficilmente avrebbe rinunciato alla sua autonomia, al suo vivere ogni esperienza pienamente senza mai sentirsi stretto da legami soffocanti. Franz invece la adorava come una dea, ed era pronto a sacrificarle tutto di sè. La amarono entrambi, in questi due modi differenti ma complementari, e sarebbe ingiusto chiedersi chi l'abbia amata di più, perchè non c'è sentimento che si presti peggio ai confronti dell'amore. Ognuno vorrebbe sentirsi unico, e forse in un certo modo anche lo è, ma è un'unicità che prescinde spesso da una graduatoria di valore. Allo stesso modo, rigirando la questione, è destinata a rimanere senza risposta la domanda che Henri Pierre stesso si pose quando scrisse il suo primo libro, Jules e Jim:

"Chi possiede di più una donna: colui che la prende o colui che la contempla?"

Henri Pierre non poteva darle quel che le offriva Franz, ma spesso ci si mette anche il destino, o la fatalità, ad impedirci di ottenere ciò che vogliamo. Quando le nostre decisioni sono appese a un impegno o a una promessa non mantenuta, però, forse non è il caso di insistere troppo. Non si tratta di rassegnazione, a volte semplicemente è giusto lasciare che le cose vadano come devono andare, a costo di conservarne gelosamente il rimpianto per tutta una vita.

Jim arrivò correndo al caffè alle sette e quattro minuti. Era in ritardo, come spesso gli capitava, per ottimismo. Era scontento di sè, e temette di non arrivare per primo all'appuntamento. Cercò Kathe e non la trovò. si sedette, aspettò un quarto d'ora, e pensò: «Una come lei può perfettamente essere venuta.... e, non trovandomi, essersene andata via alle sette e un minuto». Questo dubbio lo tormentò. Prese macchinalmente un giornale e si mise a guardarlo. Lo mise giù pensando: «Una come lei può aver attraversato rapidamente la sala, senza vedermi dietro il mio giornale, ed essersela squagliata ipso facto». Si ripetè: «Una come lei... ma insomma com'è, lei?». E si mise a pensare a Kathe direttamente, per la prima volta.

Fu poi Franz a sposare Helen, ma il loro legame con Parigi e con Henri Pierre restava sempre forte. Poi venne la prima guerra mondiale e ancora una volta i due amici, ora nemici per dei motivi che non potevano comprendere, rischiarono di perdersi. Franz scriveva a Helen appassionate lettere d'amore dal fronte, mentre Henri Pierre era riuscito ad evitare la prima linea per motivi di salute, lui che era stato sempre così sano. Franz scrisse molte lettere anche a lui, durante e dopo la guerra. E il suo primo libro, Romanza Parigina, è come una lunga lettera destinata all'amico (il Claude cui si rivolge non è altri che Roché), un viaggio tra i ricordi di una Parigi lontana ormai quanto la loro vita di allora. Tutto era cambiato, solo l'amore per Helen e la loro amicizia resistevano alla lontananza e alle gelosie.

Fin dal loro primo incontro credo avessero capito che non potevano fare a meno l'uno dell'altro, e anche negli anni seguenti continuarono a vedersi. Henri Pierre andò anche a trovarli nello chalet che avevano preso a Hohenschäftlarn, un tranquillo paesino immerso nelle foreste della Baviera, dove Franz e Helen vivevano con le loro due bambine. Ma neanche il dividersi l'amore di Helen riuscì ad allontanarli. Ogni pensiero, ogni crisi, ogni dubbio era fugato dall'armonia che regnava tra di loro quando erano insieme. E alla fine era sempre Henri Pierre ad andarsene, quando era il caso, ma mai per sempre. Restava soltanto fedele al suo carattere e alla vita che aveva scelto.

Jim era deciso a lasciare che succedesse quel che doveva succedere.
Faceva, col cuore e con le mani, come un piccolo bordo attorno a Kathe,
perchè lei non scivolasse fuori sbadatamente: ma muraglie non ne avrebbe costruite.


Venne infine la seconda guerra, e fu per loro più devastante della prima. Franz, internato in un campo di concentramento in Francia per le sue origini ebree, riusci a uscirne ma ne morì stremato poco dopo. E Henri Pierre? Lui si arrangiava ancora come poeta, scrittore, giornalista, mercante d'arte, consigliere di uomini ricchi facoltosi in cerca di pezzi da collezione o di nuovi artisti da scoprire...

Ma non poteva dimenticare il compagno con cui aveva diviso gli anni più incerti e fragili della sua vita. Quelli in cui era così facile innamorarsi e poi dimenticarsi di tutto dopo pochi minuti, sorseggiando un Pernod e parlando fino all'alba della vita, della morte e dell'amore. Henri Pierre scrisse così anche la sua versione di quegli anni, ma cambiò un po' il finale, come ultimo atto d'amore nei confronti di Helen e soprattutto di Franz, che più di tutti gli era sempre stato vicino. Le altre cose, invece, rimasero intatte sulla carta com'erano nella sua memoria, e com'erano state un tempo. Quando descrisse la figura di Kathe nel suo libro, non poteva non pensare all'incontro con Helen. Non poteva non ricordare le loro passeggiate lungo il muro di cinta del cimitero di Montparnasse, e tutte le cose che erano successe dopo. Aveva ancora negli occhi lo sguardo di lei, tanto simile a quelle statue greche che lui e Franz avevano ammirato sui libri d'arte.

"Kathe aveva il sorriso della statua dell'isola", scrisse. E a questo punto non sorprende incrociare questa frase con un brano di Romanza Parigina di Franz e ritrovarci lo stesso sorriso:

Le sue gote si arrossarono, e d'improvviso sulle sue labbra apparve il sorriso che conosciamo dalla testa di marmo di Calchi che ci ha mandato l'amico ateniese, il sorriso che la convenzione chiama arcaico, ma che ha continuato a vivere attraverso i secoli: i beati nel bassorilievo di Bamberga e quelli sulla tavola del Paradiso di Beato Angelico lo hanno ritrovato, nel duomo di Chartres sorride così un angelo, e nel Louvre il Battista o Bacco di Leonardo, e in realtà anche la Gioconda. Non è un sorriso di donna, non è quello dell'ammaliante seduttrice, come lo considerano molti. Lo hanno angeli e pagani, beati e santi e i primi dèi greci. Cosa significa uomo o donna quando un dio sorride?

Ma ancora meglio riescono a dare un senso a questa storia le parole usate dalla voce fuori campo nel film Jules e Jim di Truffaut, quando all'inizio viene descritto il viaggio dei due amici per vedere di persona quel sorriso che tanto cercavano, e che poi avrebbero ritrovato in Kathe, così come in Helen.

Era un viso di donna scolpito in modo rozzo, con un sorriso fermo e tranquillo che li colpì. La statua, scoperta di recente,era in un museo all'aperto in un'isola dell'Adriatico. Decisero di andare a vederla insieme, partirono subito. Si erano fatti fare due vestiti chiari, uguali. Era molto piu' bella e misteriosa di quanto avevano immaginato: la guardarono in silenzio. Ne parlarono soltanto il giorno dopo, avevano mai incontrato quel sorriso? Mai. Cosa avrebbero fatto se l'avessero incontrato? Lo avrebbero seguito.

Può essere riduttivo spiegare due vite con due romanzi, figuriamoci con una frase soltanto, ma in questo caso fu proprio un sorriso mai visto prima ad indicare la direzione in cui dovevano andare, senza poter tornare indietro. E anch'io, ogni volta che penso a come programmare la mia vita, penso a Henri Pierre e a Franz, ai loro libri e a quel sorriso che aspetto di seguire.

6 commenti:

  1. ecco qua!!quando il post supera un certo livello culturale nessuno lo legge!questo fa capire il livello medio basso di questa gente!mah...

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  2. che palle.........
    catp

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  3. ma che livello culturale!!!Qua ci troviamo di fronte al delirio di uno psicotico!!un maniaco sessuale!!
    sorrisi di donna eh pingu??
    Ma vergognati!!!!

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  4. ahahahahhaha! i commenti degli utenti anonimi sono i migliori!

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  5. io sono turbato. molto più di quando vidi il film. ma d'altra parte sono noto per guardare film con grande superficialità. troppo abituato a 'kiss me' o 'pretty in pink'!

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  6. Molrto bello il tuo post, molto ben strutturato, lo trovo interessantemente intelligente..
    Isabella

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